sabato 15 febbraio 2014

La ragazza col turbante di Jan Vermeer



È in corso, a palazzo Fava, a Bologna, la tanto attesa e pubblicizzata mostra della "Ragazza con l'orecchino di perla" di Jan Vermeer (1632 - 1675), unica tappa europea. È arrivata come una regina, con tanto di corteo al seguito costituito da un gruppo di quadri del seicento olandese fra cui capolavori di Rembrandt, F. Hals, van Honthorst e altri che hanno lo scopo di farle da cornice e da contesto culturale. Insomma per non farla sentire sola. C'è tutto: il luogo prestigioso, l'organizzazione in grande stile, pubblicità a vagonate, la star di richiamo internazionale e i comprimari.


Jan Vermeer - La ragazza col turbante 1672-74

  Lo spettacolo è cominciato e come in tutti i mega show le prenotazioni sono una marea. Ma qualcosa non convince molti. A cosa può servire un apparato così imponente e costoso? Per quanto mi sforzi non riesco trovare altra risposta che questa: a fare soldi. Cos'altro? Un piccolo quadro esibito come un trofeo che puoi vedere finalmente da vicino dopo averne sentito parlare tanto. Poi, una volta soddisfatta la curiosità, cosa rimane se non un piccolo assortimento di opere anche importanti con l'ingrato compito di rendere l'idea di tutta un epoca? Non si può conoscere un grande artista come Vermeer attraverso un solo quadro, per quanto bello, famoso presso il grande pubblico più per un libro e un film di successo che per altro.



 È vero, c'è un altro quadro di Vermeer nella mostra, "Diana e le sue ninfe", ma non è rappresentativo. La sua paternità è stata a lungo controversa, prima era attribuito a Nicolaes Maes, ora è ritenuto uno dei primi quadri di Vermeer. Cosa può dare la povera ragazza col turbante (sarebbe questo il suo vero nome), sola, al centro di un'attenzione direi quasi morbosa, se non il surrogato di una fugace emozione per un mito che finalmente si materializza davanti a noi dandoci l'illusione di entrare per un momento in un mondo, in un'epoca che, però, ha bisogno di ben altro per essere compresa e apprezzata? Certo, non sarà una Barbie ma la sensazione che venga usata come se fosse qualcosa di simile c'è tutta.


J. Vermeer - Diana e le sue ninfe 1655

 L'impressione è che ciò che conta è la spettacolarizzazione per attrarre il pubblico, a scapito di tutto, anche col rischio di banalizzazione che è sempre in agguato in questi casi. Sicuramente si rimane a un livello di superficialità che non fa bene né al visitatore né tanto meno a Vermeer la cui pittura è di una ricchezza e complessità che uno o due quadri non potranno mai esprimere e il cui godimento non si può ridurre a qualche minuto di estatica contemplazione della famosa, magica luce di Vermeer, un "velo di silenzio" per dirla con Federico Zeri, magari vagando col pensiero a quella bellissima attrice che impersonava la "ragazza" nel film di Peter Webber (Scarlett Johansson). Si scambia la popolarità con la divulgazione.
 D'altra parte queste mostre sono figlie dei loro tempi. Cosa ci aspettiamo se le più grandi rassegne internazionali d'arte, per prime, privilegiano sempre gli aspetti plateali, spettacolari, spesso provocatori delle manifestazioni artistiche che ospitano? È vero, non c'è nulla di male in queste operazioni prevalentemente commerciali, a parte il trasporto certamente rischioso di queste opere delicatissime. Solo che la cultura non ne trae alcun beneficio, qualche portafogli sì. In questo modo l'arte sarà sicuramente molto più redditizia ma molto meno istruttiva.