lunedì 17 novembre 2014

B. Cugusi un artista poco conosciuto

In poco più di una decina d'anni, fino alla morte, nel 1942, si svolse la maggior parte della breve e sfortunata carriera di un artista di grande spessore, il pittore Brancaleone Cugusi nato a Romana in provincia di Sassari nel 1903. Un pittore troppo in fretta dimenticato o mai abbastanza stimato e di conseguenza oggi quasi sconosciuto ai più. Eppure le sue opere sono di una qualità tale da farne uno dei protagonisti dell'arte degli anni '30, un periodo caratterizzato ancora dal cosiddetto "ritorno all'ordine" di cui si fece interprete principale il movimento "Novecento". I valori a cui si faceva riferimento comprendevano la semplificazione formale ispirata ai primitivi giotteschi fino alla purezza di Piero della Francesca, nell'affermazione di quei valori morali e sociali che si rifacevano alla famiglia, al lavoro e poi alla classicità e grandezza del passato. Cugusi non si sottrasse a questa influenza ma nella sua pittura non c'era nulla di ideologico solo il desiderio di esprimere l'interiorità dei suoi personaggi, la loro dignità, la loro forza morale, la loro fragilità, la loro fierezza, ecc. E per farlo si servì di tutti i mezzi della pittura tradizionale e del linguaggio più adatto a rendere la drammaticità così apparentemente pacata e silenziosa che emanano i suoi quadri. In prevalenza si tratta di ritratti di parenti, amici e conoscenti più alcuni paesaggi solitari, cupi e tristi dalle tonalità dorate in atmosfere crepuscolari. Ma il suo interesse maggiore è sicuramente per la figura umana che rappresenta nelle pose e nei gesti più semplici e naturali ma con un impianto solido e forme precise e nette che emergono da sfondi scuri e anonimi  di una povertà che contrasta con i personaggi in primo piano, sempre di grande ricchezza di forme e colore. Personaggi che negli occhi hanno sempre un velo di malinconia mal celata, quasi mai un'espressione serena in quei volti su cui si legge un'inquietudine interiore, spesso una rassegnazione alla propria condizione vissuta, però, con dignità e consapevolezza. Fin dai primi quadri si nota che Cugusi lascia alla luce il compito di costruire drammaticamente tutta la figura attraverso contrasti netti, è stato detto una luce"caravaggesca", anche se con una pittura levigata e ferma che man mano si fa sempre più materica, prima a mezza pasta, poi a tutta pasta, che rende la superficie ruvida e scabra, la luce sempre più intensa a creare contrasti sempre più forti e ritmi serrati, spesso favoriti dai panneggi sapientememnte organizzati, tutto immerso in un gioco di luci e ombre di grande ricchezza tonale, che creano tensione e costruiscono lo spazio contribuendo a definire drammaticamente i volumi, cosicché le figure, a volte colpite, altre volte accarezzate da quella luce così interiorizzante, possano risaltare in tutta la loro vibrante e palpitante umanità. La vita non fu generosa con Cugusi. Dopo mille difficoltà, spostamenti e disagi, a causa del rifiuto di un sostegno da parte della famiglia benestante, proprio quando le sue ricerche cominciavano a dare i loro frutti, la malattia se lo portò via, a 39 anni, alla vigilia di quella tanto sospirata grande mostra che lo avrebbe dovuto lanciare verso le vette del panorama della pittura italiana dell'epoca.

B. Cugusi - Il fratello Guglielmo 1935
  
B. Cugusi - Contadino in verde 1938

B. Cugusi - Paesaggio lacustre 1934

B. Cugusi - Giovane col mantello 1940

B. Cugusi - Giovane vinto dalla vita 1941


B. Cugusi - Giovane con l'impermeabile 1941

B. Cugusi - Ritratto di Antonello Zintu 1941

sabato 31 maggio 2014

La pittura, strumento sempre attuale

  Da tempo ho l'abitudine di chiedermi, ad intervalli più o meno regolari, se la pittura abbia ancora delle possibilità espressive che valga la pena di esplorare e la risposta è sempre "sì", ogni volta più fermo e convinto che mai, a dispetto di quanti pensano e vogliono far credere che dipingere sia anacronistico e inutile e che tutto sia già stato detto. Si è parlato addirittura di morte della pittura nei momenti di massimo delirio "concettuale". Per fortuna sappiamo che non è così e oggi si è più cauti nel formulare giudizi così drastici e avventati. D'altra parte è noto che gli uomini hanno cominciato a comunicare tramite immagini prima che con le parole. E poi immaginare, figurarsi, sognare, prevedere ecc. sono termini che implicano l'uso di immagini, la stessa cosa dicasi per le allegorie e certe metafore. Insomma non si può fare a meno delle immagini e quindi anche dei mezzi atti a produrle, fra i quali, appunto, la pittura.
  Poco importa che ci siano anche altri mezzi più moderni, tecnologicamente avanzati, apparentememnte più adeguati ai nostri tempi, anche col rischio reale della banalizzazione dell'immagine.
 Ognuno sceglie il mezzo più adatto per sé e dipingere è ancora il sistema creativo più versatile e flessibile che io conosca. E forse oggi è ancora più impegnativo di un tempo poiché non si tratta più di imitare al meglio la natura o i sentimenti, né di cercare una vagheggiata, ipotetica bellezza ideale, ancor meno narrare vicende epiche, storiche o religiose, sia pur con tecniche e linguaggi nuovi.
  No, oggi l'uomo cerca se stesso dopo essere sparito brutalmente dal centro dell'universo insieme alle sue certezze e le sue manie di onnipotenza. Nell'ultimo secolo, oltre alle grandi conquiste scientifiche e tecnologiche, ha trovato solo bruttezza, caos, dubbi, insicurezze, angoscia e paura di perdersi definitivamente, complici i disastri bellici che conosciamo. Per non parlare delle grandi ideologie e utopie varie dimostratesi alla lunga tanto fallimentari quanto dannose. E non posiamo sperare di trovarlo nei grandi ideali di una volta che hanno dimostrato tutta la loro illusorietà e inadeguatezza ai nostri tempi.
  La nostra vita è diventata un misto di speranza e pessimismo, moralismo e libertinaggio, impegno e qualunquismo, tutte cose ovviamente incompatibili e quindi sempre in conflitto fra loro. Un conflitto che si riflette nella vita di tutti i giorni e che possiamo osservare in quasi tutto ciò che facciamo.
  E forse è qui che bisogna cercare, fra le pieghe della quotidiantà dove riusciamo a dare contemporaneamente il meglio e il peggio di noi, in un magnifico gioco di contrasti accesi o vuoti piatti e monotoni, assembramenti caotici o desolate solitudini.


Natura morta - Rifiuti





  Non c'è tempo né spazio per le vie di mezzo. Se sei saggio sei banale, se sei eccentrico ed estremo allora sei originale, eccedi sempre e sarai lodato, grida più che puoi se vuoi essere ascoltato. Compra a caro prezzo sentimenti falsi e ignora chi vorrebbe donartene uno vero, la riconoscenza è troppo grande per entrare in un portafoglio. La vita ti sorride ma cosa vorrà in cambio, hai ancora un'anima da vendere?
  I giorni volano in fretta, la meta è lontana ma forse non esiste nemmeno, è solo un'illusione, una delle tante che però sembrano vere. Così come nella realtà vera si nascondono trucchi e inganni che forse non vedrai mai o non vorrai vedere mai; la felicità è fatta di piccole cose, specie se si possono fumare... (!) E per alcune certezze che ancora reggono, molte altre si incrinano e in breve crollano, non credi in Dio tanto sai che lui ti perdona. Ma non sarà lui, questa volta, a cacciarti dal tuo Eden, occorre un po' di indulgenza con chi continua, imperterrito, a voler cogliere i frutti velenosi in un giardino di sogni coltivati male.



Nudo

Sì, è proprio qui che bisogna cercare, dietro le facciate vistose o eleganti, aggressive o rassicuranti, le immagini, le forme e i colori per pensieri nuovi e passioni antiche e insieme moderne. E la pittura è il mezzo più adatto per ottenere tutto questo perché può arrivare là dove nessun concettuale più o meno erudito, provocatorio o minimale, sia mai arrivato o possa solo pensare di arrivare.



mercoledì 30 aprile 2014

L'arte, idee e realtà

  Strano mondo quello dell'arte, questo è noto, semplice e complesso allo stesso  tempo. Semplice nei "cosa" e nei "quando", complesso nei "come" e nei  "perché". Ogni cosa o persona può essere vista in rapporto a te che la guardi o  al mondo che le sta intorno e siccome anche tu sei parte di quel mondo, allora  l'intreccio si complica alquanto e bisogna trovare le ragioni e i modi in cui ogni  elemento si rapporta con l'altro. Se l'arte la studi devi conoscere e districare  queste relazioni, se la fai allora le devi (o le puoi, se vuoi) creare, modificare, distruggere, se occorre. E questo è ciò che hanno fatto sempre gli artisti in  maniera più o meno consapevole, intuitiva a volte ma sempre tesa alla ricerca  del bello e dell'armonia secondo le concezioni estetiche della propria epoca. Superato  tutto questo, accantonate le ideologie di ogni tipo e colore, a noi è rimasto ciò  che va di moda definire con termine abusato anche a sproposito e spesso in  senso spregiativo, "relativismo".
  Tutta questa ragnatela di relazioni dà modo all'artista di spaziare da una  modesta visione delle cose, la banalità, la mediocrità, la convenzionalità ecc.  fino alla più alta libertà di pensiero e quindi di espressione, cioè la grande arte,  passando attraverso una vasta gamma intermedia, a seconda delle qualità  dell'artista. Naturalmente ho semplificato molto ma lo scopo è chiarire brevemente solo  alcuni punti che poi vanno approfonditi, non fare letteratura.
  La percezione immediata che abbiamo di una certa realtà o di un evento  dipendono ovviamente da diversi fattori occasionali, il tempo, il luogo, le  circostanze, la presenza di altre cose o eventi e quindi ci viene restituita  un'immagine influenzata in qualche maniera da quei fattori. Invece l'"idea" che  abbiamo di quella stessa realtà è la somma di tutte le esperienze ad essa  legate che abbiamo fatto fino a quel momento. Se osserviamo attentamente e  con la giusta disposizione d'animo un oggetto, per esempio, possiamo andare al di là  delle sue caratteristiche fisiche, formali e superficiali fino a raggiungere la sua  essenza, cioè la nostra "idea" personale che, pur essendo sempre soggettiva,  non sarà alterata da influenze esterne o lo sarà il meno possibile. Allora avremo  un'immagine che a seconda della personalità di ognuno può suscitare in noi  varie forme di emozioni o suggestioni o sentimenti che in quel momento sono  più sensibili agli stimoli esterni. Naturalmente questo non avviene  automaticamente sempre e in qualunque caso ma attaverso un particolare, una  combinazione casuale, una disposizione insolita, un gesto, una frase, insomma  qualunque cosa che scateni la nostra immaginazione e la nostra creatività.  

  Come si vede è tutto un gioco di relazioni, di reazioni e di rimandi in cui  finiscono per confondersi o fondersi i ruoli di soggetto, oggetto, realtà e finzione.  Tutti gli elememnti svincolati dai legami della consuetudine, della convenzionalità  e perfino dai luoghi comuni, sono ora liberi per nuove interpretazioni in una sorta  di puzzle semi irreale in cui ogni tassello cerca il suo posto, una nuova ragione  d'essere, un nuovo modo di esprimersi finché l'immagine raggiunge la forma  della nostra visione. Allora in un momento tutto appare chiaro in quella nuova  dimensione e ciò che prima magari era un particolare di una piccola realtà può  assumere, ora, valori più generali e quindi condivisibili attraverso il mezzo  artistico. 

"Quanti secoli per toccare appena l'ombra di un'idea!"  (P. Gauguin)
 
   A questo punto è opportuno qualche esempio chiarificatore.  Nell'immagine sotto si può vedere come un semplice strappo in una busta di carta può assumere la valenza di un grido,
una intima lacerazione, un'agitazione  quasi viscerale. L'altra non ha bisogno di commenti, segue gli stessi principi.

Natura...morta?



Medusa

Credo che l'arte debba essere intesa più o meno così, come espressione della realtà attraverso le idee e non esprimere le idee per mezzo della realtà o parti di essa. Le differenze sono enormi e gli esiti notevolmente diversi. Ma questa è un'altra storia.

lunedì 31 marzo 2014

Il potere dell'immaginazione

"L'immaginazione ha insegnato all'uomo il senso morale del colore, del contorno, del suono e del profumo: al principio del mondo ha creato l'analogia e la metafora. (...) è la regina del vero, ed il possibile è una provincia del vero; essa è, senza dubbio, imparentata con l'infinito." (C. Baudelaire)

C. Baeudelaire
 Su idee affini a questo concetto è nato e si è sviluppato,tempo dopo, il simbolismo, tanto da far ritenere Baudelaire il precursore di quel vasto ed eterogeneo movimento; e su questo concetto i teorici e gli storici dell'arte hanno scritto molto e, nonostante sia trascorso tanto tempo, molto scriveranno ancora. Io, che dell'arte sono un "operaio", invece, mi limiterò a qualche rapida considerazione circa le implicazioni sull'arte dei nostri giorni.
 Ogni epoca ha avuto la sua idea di immaginazione in base alla cultura del tempo, influendo, poi, nella sua arte. C'è stato anche chi ne ha fatto una via di fuga dalla realtà e chi l'avrebbe voluta al potere rimanendo, per fortuna, inascoltato. I sogni, i desideri, le speranze, le paure sono forme diverse di immaginazione. Perfino i ricordi, soprattutto se remoti, hanno una componente di immaginazione via via più grande quanto più si allontanano nel tempo. Infatti l'immaginazione spesso integra quelle parti più o meno piccole che il tempo inevitabilmente cancella, rendendo i ricordi più belli o più brutti e questo per un artista è molto importante. È il colore della vita.
  Tutta l'arte di ogni epoca è stata sempre un connubio più o meno felice di sapienza, emozione, intelligenza e, soprattutto, immaginazione, in tutte le sue componenti come l'ispirazione, l'intuizione, la fantasia. L'arte tocca le sue vette più alte quando l'immaginazione è più fervida, più libera da schemi precostituiti e da pregiudizi morali lasciando gli artisti liberi di esprimersi al meglio delle loro possibilità. Al contrario, quando l'immaginazione viene inibita, mortificata, repressa per ragioni religiose, morali o pseudo intellettuali allora l'arte che ne scaturisce non può che essere piatta e monotona o frivola e superficiale o non essere affatto arte. La storia è piena di esempi di questo tipo, periodi di grande arte come il Rinascimento o il Barocco, solo per citarne alcuni, veri e propri trionfi  dell'immaginazione, alternati ad altrettanti periodi di arte quanto meno disimpegnata e formale come certo tardo Manierismo, affidata alla fantasia più sregolata o come nel decorativismo esasperato del  Rococò. Non per niente lo stesso Beaudelaire ebbe a definire la fantasia da sola "dannosa come ogni libertà assoluta". Qui, per complessi motivi storico-sociali nonché religiosi, l'immaginazione ha avuto la peggio e l'arte si è in molti casi inaridita. Meglio di tante parole bastano due esempi per evidenziare le differenze: La quattrocentesca Nascita di Venere di S. Botticelli, in cui l'immaginazione riesce a esprimere in una scena un mito, un modello estetico e un ideale morale.





  E lo stesso soggetto, dipinto nel settecento, di F. Boucher: bellezza fine ma superficiale, voluttuosa, pura decorazione.



  Ora, per venire ai giorni nostri, tutto si può dire tranne che ci sia carenza di immagini, anzi ne siamo soffocati, vista la facilità con cui si possono produrre e diffondere. Che bisogno c'è, quindi, dell'immaginazione che è troppo lenta e impegnativa? Basta avere un po' di fantasia, più facile e sbrigativa e le nostre necessità creative saranno soddisfatte. Ma è sufficiente guardarsi un po' intorno per rendersi conto che non è proprio così. L'inflazione di immagini, si sa, porta alla banalizzazione delle stesse e di conseguenza alla ricerca di originalità sempre più spericolata. Si cerca di colpire l'attenzione con clamori, provocazioni e altro nella speranza o certezza di un po' di visibilità. Però con la sola fantasia non si ottiene altro che stravaganza e bizzarria. L'originalità è solo di quelli che sanno utilizzare l'immaginazione al meglio delle loro capacità. 
  Occorre originalità per creare realtà diverse, nuove prospettive, punti di vista non comuni, per dare un aspetto più comprensibile ai nostri tempi già così confusi, contraddittori, dalle molte facce ma dall'identità incerta e sfuggente. Catturare quegli istanti particolari che riscattino una banale quotidianità, che diano un senso alle cose e una forma alle idee, che trasformino l'ordinario in straordinario e che suscitino emozioni e desideri di conoscenza, fuori da troppe, facili e comode ambiguità. Guardare attentamente fra le pieghe delle cose o dei gesti, per tentare di carpire, al di là delle apparenze, un briciolo dell'essenza di quel mondo che scorre e vive fuori e dentro di noi. E questo è più difficile che manipolare  immagini magari paradossali, di forte impatto e di facile presa su un pubblico che spesso (non sempre per fortuna), non chiede che di essere stupito sempre di più, forse per superare la monotona alienazione della vita quotidiana. 
Dunque meno speculazione nell'arte e più invenzione, più emozione, più immaginazione... O forse non ne abbiamo più voglia?

sabato 15 febbraio 2014

La ragazza col turbante di Jan Vermeer



È in corso, a palazzo Fava, a Bologna, la tanto attesa e pubblicizzata mostra della "Ragazza con l'orecchino di perla" di Jan Vermeer (1632 - 1675), unica tappa europea. È arrivata come una regina, con tanto di corteo al seguito costituito da un gruppo di quadri del seicento olandese fra cui capolavori di Rembrandt, F. Hals, van Honthorst e altri che hanno lo scopo di farle da cornice e da contesto culturale. Insomma per non farla sentire sola. C'è tutto: il luogo prestigioso, l'organizzazione in grande stile, pubblicità a vagonate, la star di richiamo internazionale e i comprimari.


Jan Vermeer - La ragazza col turbante 1672-74

  Lo spettacolo è cominciato e come in tutti i mega show le prenotazioni sono una marea. Ma qualcosa non convince molti. A cosa può servire un apparato così imponente e costoso? Per quanto mi sforzi non riesco trovare altra risposta che questa: a fare soldi. Cos'altro? Un piccolo quadro esibito come un trofeo che puoi vedere finalmente da vicino dopo averne sentito parlare tanto. Poi, una volta soddisfatta la curiosità, cosa rimane se non un piccolo assortimento di opere anche importanti con l'ingrato compito di rendere l'idea di tutta un epoca? Non si può conoscere un grande artista come Vermeer attraverso un solo quadro, per quanto bello, famoso presso il grande pubblico più per un libro e un film di successo che per altro.



 È vero, c'è un altro quadro di Vermeer nella mostra, "Diana e le sue ninfe", ma non è rappresentativo. La sua paternità è stata a lungo controversa, prima era attribuito a Nicolaes Maes, ora è ritenuto uno dei primi quadri di Vermeer. Cosa può dare la povera ragazza col turbante (sarebbe questo il suo vero nome), sola, al centro di un'attenzione direi quasi morbosa, se non il surrogato di una fugace emozione per un mito che finalmente si materializza davanti a noi dandoci l'illusione di entrare per un momento in un mondo, in un'epoca che, però, ha bisogno di ben altro per essere compresa e apprezzata? Certo, non sarà una Barbie ma la sensazione che venga usata come se fosse qualcosa di simile c'è tutta.


J. Vermeer - Diana e le sue ninfe 1655

 L'impressione è che ciò che conta è la spettacolarizzazione per attrarre il pubblico, a scapito di tutto, anche col rischio di banalizzazione che è sempre in agguato in questi casi. Sicuramente si rimane a un livello di superficialità che non fa bene né al visitatore né tanto meno a Vermeer la cui pittura è di una ricchezza e complessità che uno o due quadri non potranno mai esprimere e il cui godimento non si può ridurre a qualche minuto di estatica contemplazione della famosa, magica luce di Vermeer, un "velo di silenzio" per dirla con Federico Zeri, magari vagando col pensiero a quella bellissima attrice che impersonava la "ragazza" nel film di Peter Webber (Scarlett Johansson). Si scambia la popolarità con la divulgazione.
 D'altra parte queste mostre sono figlie dei loro tempi. Cosa ci aspettiamo se le più grandi rassegne internazionali d'arte, per prime, privilegiano sempre gli aspetti plateali, spettacolari, spesso provocatori delle manifestazioni artistiche che ospitano? È vero, non c'è nulla di male in queste operazioni prevalentemente commerciali, a parte il trasporto certamente rischioso di queste opere delicatissime. Solo che la cultura non ne trae alcun beneficio, qualche portafogli sì. In questo modo l'arte sarà sicuramente molto più redditizia ma molto meno istruttiva.



giovedì 16 gennaio 2014

Botticelli e l'arte concettuale

Quando sento parlare di arte concettuale mi viene alla mente, spontaneo, il nome di Sandro Botticelli, uno dei primi, se non il primo artista concettuale ante litteram. Il '400 e relativo Rinascimento è una fonte inesauribile di indagini, scoperte, attribuzioni, interpretazioni, analisi critiche e storiche di ogni tipo. Un groviglio in cui non ho intenzione di addentrarmi, materia per storici dell'arte. Solo qualche considerazione da condividere su questo grande pittore per dire quanto diversa sia oggi l'idea di concettualità nell'arte contemporanea.


S. Botticelli - Adorazione dei Magi 1481-82 ( fonte: Web gallery of art)

    In effetti nella pittura di Botticelli la componente concettuale prevale su tutto. La natura non sembra interessarlo granché se non per trarne delle forme da idealizzare per giungere a un ipotetico concetto di 'Bellezza' secondo la dottrina neoplatonica dominante negli ambienti colti di Firenze, soprattutto alla corte medicea.
  La pittura di Sandro Filipepi (questo era il vero nome), classe 1445, iniziata nella bottega del Verrocchio, pur avendo dominato a lungo a Firenze, specialmente dopo la partenza di Leonardo, non poteva avere alcun futuro. Il declino di Botticelli presso i suoi contemporanei non è dovuto, però, a una perdita di qualità della sua pittura ma a una precisa scelta artistica in contrasto con la tendenza moderna che avrebbe portato alla grande pittura del cinquecento: l'arte come ricerca del bello nella perfezione della natura in quanto riflesso della perfezione divina. Per Botticelli, invece, esiste solo l'immagine ideale della natura, l'interpretazione che l'artista ne dà attraverso la sua sensibilità e la sua cultura. Quindi la sua pittura è soggettiva e intellettuale, non c'è spazio per il mondo reale in senso fisico.
  Dunque mentre Antonello, ad esempio, creava spazi con una prospettiva rigorosa, Botticelli la negava; Leonardo cercava di esprimere volumi sfumati, fusi con lo spazio circostante, Botticelli dipingeva figure senza corpo, fatte di linee e di luce, non c'era bisogno di spazio. Solo luce, linea e colore. Insomma una grande distanza dal razionalismo del suo poco più giovane amico e dai futuri Raffaello e Michelangelo con il quale fu pure in contatto.

S. Botticelli - Ritratto di ragazza 1480-85 (fonte:Web gallery of art)
  Forse l'influenza delle predicazioni del Savonarola nella seconda parte della vita di Botticelli è stata sopravvalutata soprattutto da G. Vasari, anche se ha lasciato indubbiamente delle tracce piuttosto forti nella sua opera più tarda, di carattere più cupo e impregnata di moralismo religioso. Questo, a grandi linee, il quadro in cui nacquero quei capolavori che tutti conosciamo e che per secoli tanto hanno incantato gli appassionati d'arte. Con solo luce, linea e colore, dunque, Botticelli ha costruito il suo mondo ideale, le sue allegorie classicheggianti. Non ha rappresentato il mondo naturale, la realtà ma la poesia che la sua visione estetica gli suggeriva. Tutto ciò che trattava veniva smaterializzato, ridotto a pura immagine fatta di luce e linee indefinite e ondulate. Per dirla con G. C. Argan, per Botticelli

   "Il bello ideale è...ciò che rimane della storia dopo che ha perduto ogni valore di ammaestramento. Dunque è un valore negativo, il valore della sembianza alla quale non corrisponde più una sostanza o un contenuto: è, in senso proprio, 'vanità'..."

  Per ottenere tutto questo Botticelli ha inventato quel suo stile arioso, leggero, fluttuante, sempre mosso, sinuoso, elegante ma soprattutto immortale. Che i suoi quadri siano pittura di idea lo si vede guardando attentamente i soggetti...

S. Botticelli - La Primavera (part. le Grazie) 1478 ( fonte: Web gallery of art)




  Basta soffermarsi brevemente su alcuni dettagli che saltano agli occhi ad una osservazione che vada oltre la semplice e comprensibile contemplazione della bellezza. Le immagini sono costruite attraverso una linearità che non definisce oggetti o corpi ma solo zone di luce e colore, i gesti non generano movimento ma ne suggeriscono solo l'idea, come nelle Grazie della "Primavera" dove le tre fanciulle hanno solo la posa della danza ma non i movimenti. I gesti sono una costruzione armoniosa fatta di fasci di linee ondulanti e vorticose delle vesti che modellano e rivelano i corpi fluendo verso l'alto fino ad esaurirsi nelle due mani unite. Il resto del quadro segue la stessa logica nella rappresentazione dell'allegoria che come tutta la pittura di Botticelli non è mai narrativa in senso stretto, non potrebbe esserlo visto il suo programma estetico.


S. Botticelli - La nascita di Venere 1485 (fonte: Web gallery of art)       

  Per rimanere nei quadri famosi, anche "La nascita di Venere" illustra molto bene questo modo di esprimersi per concetti. Anche qui Botticelli non racconta nulla, del resto il mito è conosciuto, espone solo il suo concetto di bellezza ideale coincidente con la bellezza morale allo stato nascente. Pura immagine, pura poesia e per questo sublime. Se tentassimo di tradurla in prosa otterremmo un risultato a dir poco ridicolo. Già è poco credibile che una, per quanto Dea, appena nata dalla schiuma del mare, non abbia addosso una sola goccia d'acqua e abbia i capelli asciutti, ben acconciati e svolazzanti. Aggiungiamo che sta a galla su un mare del tutto simbolico che più finto non si può, a bordo di una enorme mezza capasanta che viene spinta da due volonterosi venti che soffiano a più non posso, verso una fanciulla che l'attende con un drappo per coprirla, evidentemente già informata dell'avvenimento. Risibile.

La nascita di Venere - part.

  È chiaro quindi che la chiave di lettura è tutta intellettuale, fatta di pure forme e simboli, insomma concettuale. Questi due esempi famosi sono emblematici di tutta la pittura di Botticelli, sia religiosa che profana e forse per questo non è simpatico proprio a tutti. Però bisogna riconoscere che ha saputo dare una forma originale e perfettamente aderente alle sue idee tanto da rendere accessibile la sua pittura a diversi livelli di comprensione, dal più elementare al più intellettualmente elevato, ciò che la rende universale.
  Tornando al concettuale moderno e facendo le dovute differenze storiche e culturali, la semplificazione selvaggia di un pensiero a volte anche grossolano e un eccesso di fiducia nel potere evocativo e stimolante di quei mezzi che dovrebbero veicolarlo, anch'essi spesso rozzi e approssimativi, rendono questo tipo di arte tutt'altro che sublime e indimenticabile, qualità a cui, per altro, dichiaratamente non aspira. Il potenziale intellettuale non manca di certo ma si pratica il culto dell'estemporaneità e dell'effimero, arte da consumare subito. Sarebbe scontato adesso dire "del doman non c'è certezza" ma non mischiamo troppo le idee.
  In poche righe non si possono esaurire temi così complessi, solo pochi cenni, un pretesto per stimolare qualche riflessione sull'arte moderna e su un grande artista come Sandro Botticelli, fine intellettuale e ispiratore anche di artisti moderni. Con lui si chiudeva la stagione idealistica del Rinascimento, aveva raggiunto le vette più alte e solitarie, mentre l'arte già si avviava a grandi passi verso nuove, grandi avventure.