AVANZI DI MEMORIA
Tutto ciò che è causale molto in fretta è riassunto nella
ragione
del cosmo e la memoria d’ogni cosa molto in fretta si inabissa
nell’eternità.
Marco
Aurelio
Un suono, un odore, un frammento
di un’immagine, una vecchia foto, un senso di déjà-vu e subito ti
senti catapultato in un altro mondo, il tuo o, almeno quello che
credi essere stato il tuo in un altro tempo, forse in un’altra
dimensione, secondo ciò che ha conservato la memoria e in che modo
lo ha custodito.
Non la memoria con la emme
maiuscola, quella degli eventi fondamentali ma quella spicciola, dei
piccoli ricordi quotidiani o occasionali, sedimenti o cascami di un
vissuto più o meno sbiadito, a seconda di quanto è lontano nel
tempo.
Una scena nitida, con tutti i
dettagli (più verosimilmente ricostruita dalla mente sull’onda
dell’enfasi accresciuta via via nel corso del tempo) o solo
un’evanescente atmosfera confusa, con qualche volto o un luogo
appena accennato.
Un gesto senza apparente senso,
chissà di quale giorno faceva parte, forse uno qualunque. E perché
proprio quello e non qualche altro, magari più significativo, più
degno di passare la selezione del tempo?
Probabilmente il ricordo segue una
logica imperscrutabile, una “non logica” che tende a far rivivere
in forma nuova emozioni e sensazioni antiche, uno strano desiderio
inconsapevole di riassaporare una particolare gioia o l’accanimento
inspiegabile (quello che non si toglie mai dalla testa), involontario
e perverso per una sensazione spiacevole, un dolore, piccolo o grande
che apre uno squarcio su un frammento di vita che altrimenti non
avrebbe avuto altro motivo di essere ricordato.
Una strada assolata, polverosa che
viene dal nulla e nel bianco indefinito si perde. Deserta, si srotola
su uno antico scorcio urbano incolore, dall'anima morta, che emerge
dalla memoria e si mescola alla città moderna. Le immagini si
sovrappongono, i tempi si fondono in una dimensione “altra”. Una
scena in cui riaffiorano a poco a poco frammenti confusi di vita
antica.
Una di quelle domeniche pomeriggio
imbalsamate in cui scompare anche quel poco traffico che c'è di
solito. I passanti, quando appaiono, si muovono come marionette che
recitano per il rituale passeggio con relativo gelato, interrotto da
qualche raro incontro.
Nell'aria gli olezzi di saponi
ordinari e profumi dozzinali hanno già preso il posto degli odori
tipici della cucina domenicale. Le rare chiazze di colore, un
vestito, un'insegna, un manifesto o il brandello che ne rimane, fanno
risaltare maggiormente il grigiore di tutto il resto, intorno.
La noia si taglia a fette, il
tempo rallenta, la tristezza monta. Tutto è così soffocante. Sembra
di stare in una bolla surreale. Finché anche il giorno decide che è
abbastanza, si incupisce. Non senza, però, un ultimo sussulto di
“vita”- si fa per dire. Echi di musica confusi rimbalzano,
ovattati; qualche bagliore colorato riflesso sui muri delle case in
lontananza, rivelano la presenza, da qualche parte, di una piccola
giostra di passaggio che gira stancamente.
A volte non sai esprimere questo
disagio, lo subisci senza reagire, mentre gli altri magari pensano
che ti stia divertendo - Non c'è cosa più triste di un divertimento
forzato, per abitudine.
Tutto è rarefatto, a tratti
nebuloso, un clima deprimente, un rimescolio di sensazioni a volte
sgradevoli, ma a volte anche tenere e struggenti di cose o chi non
c'è più. Un turbinio di emozioni, immagini che si inseguono nella
mente fino a dissolversi in una miriade di coriandoli di malinconia
di un pomeriggio di un giorno di festa. Fino alla prossima volta...
Chi non ha almeno un giorno simile, in qualche maniera, a qualsiasi
età, nella propria memoria?
Le suggestioni dei ricordi creano
strani effetti di distorsione di prospettiva temporale e spaziale
nell'immaginario. Spesso si invertono i tempi, i luoghi si scambiano
facilmente, gli eventi si accavallano, a dispetto della granitica
certezza che ci siamo costruiti. Dettagli nitidissimi vanno a
collocarsi in momenti e contesti incerti, diversi dai propri ma
verosimili o compatibili. Sono tessere di un puzzle in gran parte
incompleto, inutile dirlo, che facciamo combaciare a forza, pur di
non perdere un frammento prezioso della nostra vita.
È una mappa necessariamente
lacunosa della nostra esistenza di cui sopravvivono un certo numero
di tappe i cui percorsi non sono sempre intelligibili. Quelle
importanti quasi sempre non mancano, ovviamente, ma quelle che
lasciano un segno, emotivamente, spesso sono altre, inspiegabilmente.
Insignificanti, anonimi momenti
che per qualche ragione si fissano, danno colore e vita al passato,
ignorando la gerarchia degli eventi. Forse è per questo che, per
esempio, guardando una foto o uno spezzone superstite, più che
l'occasione che l'ha generato, si ricorda più facilmente qualche
dettaglio o qualche momento secondario, poi qualche altro e così
via, come cerchi concentrici che si allargano sempre di più.
Infatti
un'immagine racchiude in sé molto più di quello che rappresenta,
spesso è la punta di un iceberg che racchiude nel profondo molti più
ricordi e spesso anche un po' diversi da quello che crediamo.
Così anche il semplice contatto
fisico può risvegliare sensazioni dimenticate. La superficie liscia
o retinata, lucida o satinata, i bordi consumati toccati chissà
quante volte e da chissà quante mani. I segni del tempo, gli
strappi, impietosi morsi della vita, le spaccature che si allungano
serpeggiando sulla superficie, metaforiche e tangibili ferite della
memoria, cartacea e non solo. Così anche il vissuto di una foto o
film andrà a far parte della storia, scandendo i tempi dei ricordi,
in maniera tale che ogni volta possa raccontare la sua storia
arricchendola di nuovi passaggi e magari facendo emergere qualche
particolare finora rimasto allo stato latente, risvegliando altre
emozioni. Memoria della memoria.
Lo stesso non si può dire delle
immagini digitali, algide, apparentemente incorruttibili, sempre
uguali a se stesse, senza storia ma altrettanto fragili e con la
pretesa di potere replicare indefinitamente quel tempo,
spersonalizzate, negando così quel legame, quello scopo per cui
vengono create.
Solo le cose che possono
testimoniare il loro viaggio nel tempo hanno quella magia di
rimetterci in contatto fisico, insostituibile, col passato, qualunque
esso sia. Ricordi gioiosi o tristi, noiosi o malinconici ma sempre
preziosi, anche quando risultano amari e sgradevoli e vorremmo
cancellarli, illudendoci, in questo modo, di non averli mai vissuti.
Sentimentalismi giovanili o magari
nostalgie in un'età in cui i ricordi superano, ormai, le speranze e
si affacciano i primi rimpianti che altro non sono che il desiderio
di poter ricordare cose che avrebbero potuto essere e, invece, non
sono mai state - ma forse si è ancora in tempo... chi lo sa! -
Memorie incerte o distratte trovano sostegno e conforto in poche
immagini, mentre altre, un po' più solide e lucide, ne traggono
conferme e spunti per rievocare un passato ancora nitido nella mente,
o così sembra.
È comprensibile cercare di
conservare e, di conseguenza, tramandare qualcosa di sé superando
quel limite imposto dalla natura che, ineluttabilmente, tutti conduce
all'oblio. Proviamo allora a ingannare il tempo, velleitariamente,
salvando almeno l'immateriale, il pensiero, l'immagine, in questo
caso, perpetuando con essa tutto ciò che può evocare. Immagine a
cui affidiamo i nostri ricordi pensando, così, ingenuamente, di
prolungarne la durata, illusorio bisogno atavico di accaparrarci
qualche briciola di immortalità.
Così, quando, per esempio,
guardiamo una vecchia foto con tenerezza, benché nulla ci impedirà
mai di aspirare all'impossibile (non si reprimono i sogni), ci
rendiamo conto che è lo sforzo della memoria che, in un disperato
tentativo di sopravvivere, si aggrappa al tempo mentre il tempo la
consuma.
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