lunedì 7 ottobre 2013

La zattera della Medusa

 I tragici fatti di Lampedusa di questi giorni mi hanno richiamato alla memoria un capolavoro dell'arte della prima metà del diciannovesimo secolo, un quadro di Théodore Géricault (1791-1824): "La zattera della Medusa" del 1819.

La zattera della Medusa

 Questo grande dipinto rievoca una tragedia avvenuta il 2 luglio 1816, quando la fregata Medusa con quattrocento persone a bordo naufragò nelle secche di Arguin. Fu allora costruita una zattera su cui trovarono posto, ammassati, centoquarantanove naufraghi, gli altri sui canotti di salvataggio.  La zattera inizialmente fu trainata da una scialuppa, ma dopo un po' gli ufficiali dei canotti tagliarono i cavi di traino e l'abbandonarono a sé stessa senza cibo né acqua e senza strumenti per la navigazione.
 I naufraghi rimasero in balia del mare per dodici giorni durante i quali bevvero urina miscelata a del vino trovato in alcune botti trovate alla deriva e, pare, si nutrirono della carne dei loro compagni che via via morivano.    Quando il brigantino Argus avvistò la zattera erano rimasti quindici uomini moribondi.
 Il fatto destò molto scalpore e scatenò molte polemiche come è facile immaginare. Anche Géricault rimase molto impressionato tanto che decise di realizzare un grande quadro. Aiutato dai testimoni di quel dramma e dal carpentiere che aveva lavorato alla Medusa si fece costruire un modello della zattera e, chiuso nel suo grande studio affittato appositamente, lavorò febbrilmente con i suoi modelli fino a luglio 1819 quando il quadro fu esposto al Salon.

La zattera della Medusa (part.)

Allora non fu molto apprezzato anche perché Géricault per enfatizzare il dramma aveva usato colori spenti, bruni, cupi, in contrasto con il gusto popolare del epoca. Ma poi il tempo rese giustizia a questo capolavoro che avrebbe potuto essere il primo di una lunga serie se il suo geniale autore non fosse morto poco tempo dopo a neanche trentatrè anni. Questa in sintesi la storia che, fatte le dovute differenze, ha tanti punti in comune con quello che è accaduto e che continua ad accadere al largo delle nostre coste. Anche da noi i migranti vengono abbandonati in mezzo al mare a bordo di quei gusci che, se non sono zattere poco ci manca, senza cibo né acqua, destinati a naufragare e spesso a morire in mare o sulle spiagge. Dopo quasi due secoli la storia si ripete e noi non abbiamo imparato niente. Chi è naufrago in mare come nella vita spesso viene escluso, emarginato, abbandonato a sé stesso finché non arriva qualcuno in soccorso a dimostrare che esiste ancora la solidarietà e la generosità. Ma a volte è troppo tardi.

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