domenica 11 febbraio 2024

 

AVANZI DI MEMORIA


Tutto ciò che è causale molto in fretta è riassunto nella

ragione del cosmo e la memoria d’ogni cosa molto in fretta si inabissa
nell’eternità.
Marco Aurelio


   Un suono, un odore, un frammento di un’immagine, una vecchia foto, un senso di déjà-vu e subito ti senti catapultato in un altro mondo, il tuo o, almeno quello che credi essere stato il tuo in un altro tempo, forse in un’altra dimensione, secondo ciò che ha conservato la memoria e in che modo lo ha custodito.
Non la memoria con la emme maiuscola, quella degli eventi fondamentali ma quella spicciola, dei piccoli ricordi quotidiani o occasionali, sedimenti o cascami di un vissuto più o meno sbiadito, a seconda di quanto è lontano nel tempo.
Una scena nitida, con tutti i dettagli (più verosimilmente ricostruita dalla mente sull’onda dell’enfasi accresciuta via via nel corso del tempo) o solo un’evanescente atmosfera confusa, con qualche volto o un luogo appena accennato.
Un gesto senza apparente senso, chissà di quale giorno faceva parte, forse uno qualunque. E perché proprio quello e non qualche altro, magari più significativo, più degno di passare la selezione del tempo?
Probabilmente il ricordo segue una logica imperscrutabile, una “non logica” che tende a far rivivere in forma nuova emozioni e sensazioni antiche, uno strano desiderio inconsapevole di riassaporare una particolare gioia o l’accanimento inspiegabile (quello che non si toglie mai dalla testa), involontario e perverso per una sensazione spiacevole, un dolore, piccolo o grande che apre uno squarcio su un frammento di vita che altrimenti non avrebbe avuto altro motivo di essere ricordato.
Una strada assolata, polverosa che viene dal nulla e nel bianco indefinito si perde. Deserta, si srotola su uno antico scorcio urbano incolore, dall'anima morta, che emerge dalla memoria e si mescola alla città moderna. Le immagini si sovrappongono, i tempi si fondono in una dimensione “altra”. Una scena in cui riaffiorano a poco a poco frammenti confusi di vita antica.
 
 
Memories 2


 
Una di quelle domeniche pomeriggio imbalsamate in cui scompare anche quel poco traffico che c'è di solito. I passanti, quando appaiono, si muovono come marionette che recitano per il rituale passeggio con relativo gelato, interrotto da qualche raro incontro.
Nell'aria gli olezzi di saponi ordinari e profumi dozzinali hanno già preso il posto degli odori tipici della cucina domenicale. Le rare chiazze di colore, un vestito, un'insegna, un manifesto o il brandello che ne rimane, fanno risaltare maggiormente il grigiore di tutto il resto, intorno.
La noia si taglia a fette, il tempo rallenta, la tristezza monta. Tutto è così soffocante. Sembra di stare in una bolla surreale. Finché anche il giorno decide che è abbastanza, si incupisce. Non senza, però, un ultimo sussulto di “vita”- si fa per dire. Echi di musica confusi rimbalzano, ovattati; qualche bagliore colorato riflesso sui muri delle case in lontananza, rivelano la presenza, da qualche parte, di una piccola giostra di passaggio che gira stancamente.
A volte non sai esprimere questo disagio, lo subisci senza reagire, mentre gli altri magari pensano che ti stia divertendo - Non c'è cosa più triste di un divertimento forzato, per abitudine.
Tutto è rarefatto, a tratti nebuloso, un clima deprimente, un rimescolio di sensazioni a volte sgradevoli, ma a volte anche tenere e struggenti di cose o chi non c'è più. Un turbinio di emozioni, immagini che si inseguono nella mente fino a dissolversi in una miriade di coriandoli di malinconia di un pomeriggio di un giorno di festa. Fino alla prossima volta... Chi non ha almeno un giorno simile, in qualche maniera, a qualsiasi età, nella propria memoria?
Le suggestioni dei ricordi creano strani effetti di distorsione di prospettiva temporale e spaziale nell'immaginario. Spesso si invertono i tempi, i luoghi si scambiano facilmente, gli eventi si accavallano, a dispetto della granitica certezza che ci siamo costruiti. Dettagli nitidissimi vanno a collocarsi in momenti e contesti incerti, diversi dai propri ma verosimili o compatibili. Sono tessere di un puzzle in gran parte incompleto, inutile dirlo, che facciamo combaciare a forza, pur di non perdere un frammento prezioso della nostra vita.
È una mappa necessariamente lacunosa della nostra esistenza di cui sopravvivono un certo numero di tappe i cui percorsi non sono sempre intelligibili. Quelle importanti quasi sempre non mancano, ovviamente, ma quelle che lasciano un segno, emotivamente, spesso sono altre, inspiegabilmente.
Insignificanti, anonimi momenti che per qualche ragione si fissano, danno colore e vita al passato, ignorando la gerarchia degli eventi. Forse è per questo che, per esempio, guardando una foto o uno spezzone superstite, più che l'occasione che l'ha generato, si ricorda più facilmente qualche dettaglio o qualche momento secondario, poi qualche altro e così via, come cerchi concentrici che si allargano sempre di più. 
 
 
 
Memories 3

 
Infatti un'immagine racchiude in sé molto più di quello che rappresenta, spesso è la punta di un iceberg che racchiude nel profondo molti più ricordi e spesso anche un po' diversi da quello che crediamo.
Così anche il semplice contatto fisico può risvegliare sensazioni dimenticate. La superficie liscia o retinata, lucida o satinata, i bordi consumati toccati chissà quante volte e da chissà quante mani. I segni del tempo, gli strappi, impietosi morsi della vita, le spaccature che si allungano serpeggiando sulla superficie, metaforiche e tangibili ferite della memoria, cartacea e non solo. Così anche il vissuto di una foto o film andrà a far parte della storia, scandendo i tempi dei ricordi, in maniera tale che ogni volta possa raccontare la sua storia arricchendola di nuovi passaggi e magari facendo emergere qualche particolare finora rimasto allo stato latente, risvegliando altre emozioni. Memoria della memoria.
Lo stesso non si può dire delle immagini digitali, algide, apparentemente incorruttibili, sempre uguali a se stesse, senza storia ma altrettanto fragili e con la pretesa di potere replicare indefinitamente quel tempo, spersonalizzate, negando così quel legame, quello scopo per cui vengono create.
Solo le cose che possono testimoniare il loro viaggio nel tempo hanno quella magia di rimetterci in contatto fisico, insostituibile, col passato, qualunque esso sia. Ricordi gioiosi o tristi, noiosi o malinconici ma sempre preziosi, anche quando risultano amari e sgradevoli e vorremmo cancellarli, illudendoci, in questo modo, di non averli mai vissuti.
Sentimentalismi giovanili o magari nostalgie in un'età in cui i ricordi superano, ormai, le speranze e si affacciano i primi rimpianti che altro non sono che il desiderio di poter ricordare cose che avrebbero potuto essere e, invece, non sono mai state - ma forse si è ancora in tempo... chi lo sa! - Memorie incerte o distratte trovano sostegno e conforto in poche immagini, mentre altre, un po' più solide e lucide, ne traggono conferme e spunti per rievocare un passato ancora nitido nella mente, o così sembra.
 
 
Memories 1

 
È comprensibile cercare di conservare e, di conseguenza, tramandare qualcosa di sé superando quel limite imposto dalla natura che, ineluttabilmente, tutti conduce all'oblio. Proviamo allora a ingannare il tempo, velleitariamente, salvando almeno l'immateriale, il pensiero, l'immagine, in questo caso, perpetuando con essa tutto ciò che può evocare. Immagine a cui affidiamo i nostri ricordi pensando, così, ingenuamente, di prolungarne la durata, illusorio bisogno atavico di accaparrarci qualche briciola di immortalità.
Così, quando, per esempio, guardiamo una vecchia foto con tenerezza, benché nulla ci impedirà mai di aspirare all'impossibile (non si reprimono i sogni), ci rendiamo conto che è lo sforzo della memoria che, in un disperato tentativo di sopravvivere, si aggrappa al tempo mentre il tempo la consuma.

mercoledì 17 febbraio 2021

Antonio Lopez Garcìa

  Forse sono in pochi a non avere sentito parlare di Antonio Lopez Garcìa,  probabilmente l'ultimo grande artista figurativo del XX secolo. Spagnolo, classe 1936, apprende i primi rudimenti dell'arte dal padre, pittore anch'egli. I suoi primi riferimenti artistici furono, tra gli altri, il Rinascimento studiato in Italia e l'inevitabile Diego Velàsquez. Per qualche tempo si interessò, certo a modo suo, anche al surrealismo, evidente in certe opere degli anni '50 soprattutto, ma non era quella la sua strada. Riesce comunque a creare delle strane atmosfere, con personaggi che si librano stranamente nell'aria, figure che appaiono in qualche angolo di stanza, in penombra, o frammenti di esse, quasi brandelli di una realtà diversa che si manifesta silenziosa affiorando dalle profondità della memoria. Si creano momenti di arcana emotività, muti dialoghi tra cose o persone in cui l'interrogativo talvolta non è il "come" ma il "perché", altre volte sembra il contrario ma sempre la partecipazione è intensissima.  
  Tutto è ottenuto con una pittura cruda, spesso scabra, colori dimessi e spesso polverosi, una pittura di grande precisione realistica e raffinatezza, oltre la superficie. La vena realistica, man mano, si intensifica sempre più, in aperta opposizione all'arte astratta e informale che si va imponendo un po' ovunque, all'epoca. Gli interni 'appaiono' in un clima di semplice evidenza, di realismo puro, senza abbellimenti o aggiustamenti "artistici". Ma la luce discreta e calibrata e l'approccio alle cose come indagine sul loro ruolo e il modo di essere, eterne questioni, fanno sì che ne scaturisca una scena che va al di là di ciò che rappresenta.  
  Spesso si commette l'errore di credere che il senso delle cose stia nel loro significato letterale, nella loro funzione. Un bicchiere ha senso solo perché lo si usa per bere, un nudo lo si dipinge per ammirarne le forme anatomiche armoniose, per la sua bellezza e così via. In realtà ogni cosa evidenzia un senso sempre diverso, non solo per il modo in cui viene espressa, ma anche come si pone nei confronti degli altri elementi, lo stare nello spazio, come risponde alle sollecitazioni della luce. Per Lopez Garcia questo si traduce nell'analizzare la realtà minutamente, stabilendo con precisione l'importanza di questo o quel dettaglio, forse alla ricerca, appunto di "quel certo senso". 
  Così come le vedute delle strade e i panorami urbani solitari, dettagliatamente realistici formano un contrasto stridente con il loro irrealistico aspetto deserto, privo di animazione apparente, tranne alcune eccezioni, ma non abbandonato. Creano in tal modo una sorta di vita sospesa, un silenzio carico di aspettative o disillusioni, secondo i punti vista. In ogni caso un momento di riflessione senza l'assillo del vivere frenetico quotidiano.
  In questi brevi cenni, necessariamente non esaustivi, vista la complessità e l'estensione temporale dell'opera di Lopez Garcìa, bisogna anche dire che, a volte, i risultati della sua ricerca non sono del tutto convincenti, all'altezza delle aspettative. Un esempio per tutti può essere il ritratto della famiglia reale spagnola di Juan Carlos I. Al di là dell'ampio arco di tempo in cui si è dilungata la sua esecuzione (circa vent'anni), e forse proprio per questo, l'esito non è dei più felici, se pure si stia parlando di alti livelli - per altri versi il dipinto è inappuntabile - per qualcuno una grande opera.
  Si tratta, in definitiva, di un elenco di personaggi freddi, senza spessore, a parte qualche accenno di caratterizzazione. Sono dipinti, riprodotti, non vissuti, non "creati" dall'artista, immersi in una atmosfera gelida, quasi asettica, che ne accentua la distanza. Un po' come quelle foto di gruppo che si fanno nei matrimoni di parenti e amici, non servono a niente, solo immagini di testimonianza. In quel ritratto non c'è vitalità negli effigiati, non c'è vero interesse né coinvolgimento da parte dell'autore. Ma possiamo sorvolare, questo non toglie nulla alla grandezza di Lopez Garcìa; la storia dell'arte è piena di esempi simili.
   Lopez Garcìa mostra di voler cercare con sincera partecipazione, nelle pieghe della realtà nuda e cruda, quegli aspetti poetici e sottilmente misteriosi che pur non vedendosi apertamente, si manifestano nell'intuizione dell'artista che con il suo sapiente tocco, spesso ispirato, stimola e illumina quegli angoli più reconditi e poco esplorati della sensibilità dello spettatore.
 
 
 











 

domenica 24 novembre 2019

Trasfigurando



Saggio non è nessuno
che non conosca il buio
che lieve ed implacabile
lo separa da tutti.
Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è solitudine.
Nessun essere conosce l'altro
ognuno è solo.
 

H. Hesse


  
  L’aria è ancora frizzante, in un primo pomeriggio di fine inverno, anche se il sole comincia a scaldare, sotto un cielo azzurro intenso con una leggera voglia di turchese come solo al sud si vede, in certe ore. Il silenzio sembra più largo e profondo, appena interrotto da qualche leggero, lontano rumore ovattato che amplifica le distanze.
  L’atmosfera è di quelle che inducono un po’ al torpore, un po’ alla riflessione. A volte ne viene fuori una sorta di più o meno lucida astrazione in cui la realtà trasfigurata acquista un altro aspetto, un altro peso, forse anche un altro valore.
  I pensieri si spogliano per un momento dei veli della quotidianità. Tutto viene filtrato da quel silenzio liberatorio. Si scoprono dettagli prima trascurati o ignorati, si esplorano sentieri mai percorsi, si trovano chiavi di lettura mai immaginate, normalmente.
  È un’atmosfera in cui magari si (ri)affacciano problemi ai quali non hai mai trovato una soluzione, (ri)emergono temi non affrontati, col pretesto che non avevi tempo… e ora che ce l’hai? E con la stessa leggerezza divaghi da un tema all’altro, ipotesi e soluzioni si rincorrono e si accavallano.
  E intanto quelle figure stanno lì, ferme nel loro cammino, non sanno dove vanno, cercano quanto meno un percorso. Eppure ce le ho messe io su quella tela. Sono ancora incompiute nella fattura e nel senso, la meta non si vede e non si sa nemmeno quale sia, sempre che ci sia. 
  Tutto è abbozzato, in attesa che un filo logico o una qualunque motivazione emerga da quel crogiolo di ambiguità, di ignoto, di incertezze da cui esse si sono materializzate. Personaggi in cerca di destinazione, si potrebbe dire, parafrasando altri ben più importanti “Personaggi”. 
  Ma a volte l’arte ha delle ragioni tutte sue che sfuggono alla comune comprensione per cui non c’è da sorprendersi se nemmeno io, al momento, so districarmi da questo groviglio...certo è che non deve essere piacevole, per loro, ritrovarsi in un non luogo, insieme ad altri sconosciuti altrettanto indefiniti, involontari e indifferenti compagni di viaggio, sperando nell'intervento di qualcuno o qualcosa che li “risolva”. Un'incompiutezza che si spera temporanea ma che rischia di divenire lo stato definitivo di un'esistenza. 
  Chi, almeno una volta, non si è sentito magari appagato nel particolare quotidiano ma irrisolto e insoddisfatto nella (e della) vita, nel suo complesso?
  Forse dipende anche da momenti così, banale routine giornaliera interrotta improvvisamente causa sospensione lavori, per mancanza di prospettiva! O forse è il contrario. Certo è che il 'non finito' della vita non è proprio affascinante come il 'non finito' dell'arte il quale suggerisce, evoca più che affermare, permette di cogliere l'essenziale, tralasciando il resto. No, quello è frustrante, genera conflitti tra aspirazioni mancate e rimpianti inutili, tra desideri di rivalsa e rassegnazioni. E senza altri stimoli o nuove motivazioni rischi di perdere quel minimo di personalità faticosamente costruita o di non trovarne mai una, di ricadere o, peggio, di rimanere in quell’anonimato che si vive senza infamia e senza lode, come suole dirsi, basta seguire la corrente.
  D'altra parte la mediocrità è più rassicurante e meno dispendiosa. E soprattutto non richiede particolare coraggio.
  Ma basta divagare, occorre aprire un varco in questo immobilismo sonnolento e lasciare che l’immaginazione segua il suo corso.
  Avrei potuto porli in discesa per agevolargli almeno il cammino - ma no, non si ottiene nulla senza qualche impegno! E poi nell’immaginario figurato per migliorare si sale, non si scende. 
  Prima di fermarsi arrancavano in maniera chi inconsapevole, chi indifferente, chi timoroso. Tutti chiusi, però, un po’ diffidenti. Ma si sa, quasi mai tante solitudini fanno una compagnia. E dire che ognuno di loro sembra che abbia una vita “altrove”, una vita quotidiana che in apparenza vive serenamente, fatta di studio, lavoro, affetti, passioni, contraddizioni, progetti, insomma 'normale'.
  Però si trova anche qui… Avrebbe tante cose da fare, magari si era organizzata la giornata, prima che io lo strappassi alla sua convenzionale esistenza giornaliera. Qui ci si trova soli, senza appigli, a volte senza abbastanza speranze per andare avanti e senza nemmeno nostalgie e rimpianti per tornare indietro.
  La vita ti pone delle questioni quando meno te lo aspetti e soprattutto quando non hai le risposte pronte, non ancora, almeno. Allora devi improvvisare. 
  Ti sembra di vivere in una dimensione particolare, una realtà altra, altro clima, oggi diremmo quasi un “mondo distopico” ma naturale e altrettanto o perfino più reale, forse anche un po’ sgradevole e che mette a disagio. Ogni gesto, ogni scelta si riflette dall’una all’altra. Quelli che sembrano il vero e il verosimile si toccano, si fondono, si scambiano i ruoli, non c’è più differenza.
  A volte non abbiamo il pieno controllo dei nostri pensieri, riusciamo solo a inseguirli un po’ nei loro volteggi vorticosi, magari strappando loro qualche frammento illusorio, tuttavia senza mai riuscire ad afferrarli del tutto. Quelli non hanno regole; o ti adegui o lasci perdere.
  Ma si va avanti, il momento sembra propizio, l’umore un po' meno, però, in questo strano limbo laico dove tutto sembra possibile, tranne il probabile che avrebbe uno spiccato sapore di banalità a cui molti vorrebbero sottrarsi. Sembra di galleggiare in una languida impotenza mentre cerchi di scorgere qualche indizio rivelatore. Bisogna pur trovare la chiave per uscire da questa “impasse” creativa. 
  Intanto il tempo, quello “vero” (ma sarà veramente vero...?!) trascorre inesorabile, le ombre si allungano e devo tentare qualcosa.
  Provo a ravvivare l’ambiente pensando di lavorare un po' sui toni e sull’individualità delle figure, diversificando i tipi, nel tentativo di risvegliare un po’ di lucidità e schiarire qualche idea, poiché al momento perfino i sassi sembrano avere più presenza di tutto il resto che, neanche esso, brilla per vitalità. Eppure sotto questo velo di nebulosa e informe intuizione sembra di intravedere qualche segno, troppo vago, però, per azzardare anche solo un'interpretazione. 
  Cerco più in fondo ma è tutto così sfuggente, ambiguo.
  È difficile mettere a fuoco le idee quando non hai la percezione nitida e non sai a quale realtà esse appartengono. La tela assume i toni e i colori a seconda dei punti di vista che di volta in volta si alternano e passano senza lasciare traccia. Le possibili verità o presunte tali si susseguono, si intrecciano inafferrabili ma nessuna riesce a dare un “peso”, un "segno" alle cose.
  Visto che il panorama generale non aiuta e non determina nulla, provo a entrare nell'ottica delle figure. Ma ancora non c'è spessore neppure lì. Il qualunque fa il paio con l'inutile: a questo punto uno vale l’altro. Un'aria arrendevole che non porta da nessuna parte. Infatti. 
  Sembrano quasi le loro ombre le quali aspirano a qualche consistenza che non riescono a trovare o che nessuno dà loro. Intorno un variegato nulla su cui i pensieri e gli occhi vagano per qualche istante senza ragione.
  I punti di riferimento su cui si costruisce una composizione sono facilmente determinabili, non altrettanto quelli sui quali si fonda il suo senso e quello dei suoi elementi in particolare. Non è detto che nascano sempre insieme contemporaneamente, anche se in questo caso qualche traccia sembra esserci.
  Dapprima un'idea sembra buona, promette interessanti sviluppi, poi quando meno te l'aspetti, prende una piega tutta sua con cui fare i conti per poter proseguire. Cerca un suo come e un suo perché e tu devi assecondarla se vuoi venirne a capo.
  Mi arrampico su per vedere se può esserci qualcosa oltre quel muro e alberi che possa giustificare quella salita, nella speranza di liberare quei poveri malcapitati. Oltre quel limite potrebbe non esserci nulla perché nulla ci ho messo o nulla ho suggerito o lasciato sottintendere. O forse c’è qualcosa che ancora non vedo. Ma forse non lo saprò mai…
  Una lama di luce solare si affaccia nelle vicinanze della stanza per pochi minuti riverberando qualche bagliore prima di proseguire il suo cammino. È un banale dettaglio insignificante ma in un frangente delicato e particolarmente sensibile come questo è sufficiente per avviare un repentino e imprevedibile mutamento.
  Così si interrompe quel peregrinare semi fantastico, l’atmosfera si fa più dorata, l’aria più rarefatta, tutto sembra più chiaro, gli spazi si addensano, in questo nuovo livello in cui si è ora. Le ambiguità si diradano, l’ebbrezza del silenzio rende l’immaginazione più vivace, più reattiva e meno confusa, tutto ora è più credibile e possibile.
  Qualcosa è avvenuto, anche la scena sulla tela assume un aspetto più convincente, nella sua realtà forzata che adesso non è altro che un’estensione o, se preferite, un rivolto dell’altra realtà. Lì, ora, le cose cominciano a prendere quella consistenza che prima non avevano, evidentemente è cambiata l'ottica sotto la quale tutto appare diverso. La composizione può trovare ora una sua logica, qualunque essa sia; e con nuova lucidità (si fa per dire...) posso finalmente rianimare quel gruppo, rendere a ognuno la sua vita, il suo spazio e i suoi tempi. Tutto prende forma in maniera naturale, come se l’avesse sempre avuta e poi… 
  Ma già il vociare e i rumori della strada irrompono ad annunciare che è svanita l’atmosfera ovattata che avvolgeva tutto, finito il viaggio immaginario ma non troppo in quel mondo di lato sempre presente a chi aspira ad esplorare il meno ovvio, nella speranza di cogliere qualche briciola di “altro”.
  Ormai l'incanto è spezzato, si torna all'ordinarietà, a quelle figure che stanno ancora lì ma ora sembrano avere un senso e sono libere di svolgere il loro ruolo.
  Continueranno il cammino ognuno a suo modo, in solitudine, magari con nuove speranze o vecchie certezze ma sicuramente ignare del contrattempo vissuto, vittime inconsapevoli di un altrui momentaneo, straniante smarrimento in un tiepido pomeriggio di fine inverno.




Attraversando il giardino - studio



Attraversando il giardino - studio


lunedì 31 dicembre 2018

Ancora bellezza?...





  In questa fine d'anno, un anno scombinato, caratterizzato da egoismi e insensibilità crescenti, cinismo e indifferenza sempre più estesi, violenza e distruzioni per cause naturali o per mano dell'uomo; un anno così avaro di soddisfazioni che credo proprio sarà rimpianto da non molti; in questi giorni, dicevo, a volte mi chiedo se abbia ancora senso parlare di bellezza in una società così, che sembra faccia di tutto per ricercarla e apprezzarla, nelle intenzioni, salvo poi trascurarla e mortificarla, o addirittura distruggerla, nei fatti. Ma poi mi rispondo che sì, ha senso parlarne, anche se bisogna vedere cosa intendiamo per bellezza. Ogni persona ha una sua idea e quando parla di bellezza si affretta sempre a dare la propria definizione come se fosse quella universale. In realtà non esiste un concetto generale che racchiuda il senso della bellezza, poiché se così non fosse, dovrebbe esistere un modello da seguire, immutabile, mentre sappiamo bene che non è così, l'idea di bellezza varia continuamente nel tempo e nel luogo.
  La bellezza non nasce da un ideale ma da una larga serie di relazioni tra cose (e persone) e contesti diversi, maturati lungo percorsi, spesso lunghi e tortuosi, che attraversano i tempi e le società. Senza contare quel piacere istintivo e inspiegabile che si prova davanti a certe cose e non altre.


A. Bronzino

   Di volta in volta si è identificata la bellezza con l'imitazione sempre più fedele o "nobilitata" della natura; o con la raffigurazione aulica di un ideale, morale o religioso; o ancora con l'espressione, anche cruda, dei moti dell'animo umano; o con la rappresentazione della semplice realtà così come appare. E così via. Cioè la bellezza estetica e la bellezza etica (nelle sue varie componenti e declinazioni: morale, sociale, religiosa, ecc.) per semplificare. L'aspetto esteriore e il contenuto; la prima dà più valore alla superficie, la seconda alla profondità. In effetti, nelle opere d'arte, spesso le due realtà coesistono inscindibilmente e nelle proporzioni più diverse. Anzi è proprio dalla loro sapiente combinazione che sono nati i più grandi capolavori dell'arte. Più la forma aderisce al contenuto e più l'opera acquista bellezza per sintesi. 

D. Hockney

Per la verità ai giorni nostri la bellezza "etica", o tutto ciò che passa sotto questo termine, comunemente inteso come concettuale sembra avere preso il sopravvento, se non proprio l'esclusiva della rappresentazione artistica, delegando al solo contenuto il ruolo di opera compiuta, unica ragione di sé. Anche se poi il potere attrattivo è affidato alla forma, nel tentativo di tradurre la parola in segno (o oggetto o altro) ma che si riduce, spesso, in colpi “ad effetto” volti a generare clamore, con lo scopo di polarizzare l’attenzione sul suddetto contenuto. Secondo questa interpretazione del fare arte, il pensiero non è parte integrante dell'opera ma "è" l'opera, il resto conta poco, in quanto funzione del concetto. Soprattutto in un'epoca dominata dal culto dello sgradevole, del trash, delle disarmonie stridenti, dello splatter, della violenza, delle provocazioni tanto roboanti quanto spesso gratuite, fini a se stesse, di immagini vistose e grossolane in grado di colpire e soddisfare le sensibilità meno evolute, benché istruite, più elementari, alla ricerca di facile popolarità.
  Oggi i cosiddetti 'valori' che contano di più nell'arte sono i più disparati, la cui attinenza al mondo dell'estetica è spesso quanto meno discutibile e attingono ad altri ambiti e attività in nome di una caotica, onnicomprensiva "contaminazione", termine che è diventato un comodo lasciapassare per qualsiasi arbitrio, invece di essere un momento di reale confronto e arricchimento artistico, sociale e culturale. Ma per fortuna non sempre è così… La bellezza, anche estetica, è ancora fonte di ricerca e di ispirazione, la misura della creatività dell'uomo nel cercare di dare una forma alla sua visione delle cose. Perché è il filosofo che esplora gli itinerari del pensiero ma è l'artista, con la sua capacità di percepire e comprendere (anche solo intuitivamente, a volte) la realtà nei suoi differenti aspetti e livelli, che ti accompagna per mano attraverso i sentieri e le forme di un mondo e di un'umanità da scoprire e condividere, alla ricerca di verità e bellezze possibili. L'esperienza sensoriale, in tutte le sue variabili (soggetto, contesto, relazioni...) determina l'estetica, una sintesi formale, cioè si traduce in un linguaggio artistico idoneo a comunicare idee ed emozioni. Poiché nessuna emozione può suscitare ciò che da nessuna emozione è scaturito.


V. Kandinsky

  In fondo, come già detto in altre occasioni, la bellezza non è una qualità oggettiva ma una condizione che si viene a creare per effetto di occasionali o durature interrelazioni fra soggetti, una sorta di empatia che conduce all'appagamento dei sensi e dell'intelletto. La sua forza espressiva stimola la percezione determinando così il suo potere evocativo e comunicativo e, infine, la sua ragione d'essere. Insomma, probabilmente la bellezza non salverà il mondo ma può ricordare a noi, ogni giorno, che anche essa è una ragione per cui provarci.


giovedì 11 maggio 2017

 Safet Zec



 Safet Zec non ha bisogno di presentazioni, è artista di grande spessore, pittore e incisore di altissima qualità. Originario della Bosnia, classe 1943, figlio di un artigiano, legatissimo alla sua terra, dovette abbandonarla, fuggendo in Italia, nel 1992, a causa della guerra nella ex Jugoslavia. A Udine ricominciò da capo, lavorando accanitamente e riuscendo ad ottenere col tempo importanti riconoscimenti. Dopo la fine della guerra riprese i contatti con la sua terra, a Sarajevo, dove riaprì lo studio, diventato centro culturale molto attivo in cui tuttora espone anche le sue opere.
Egli ci mostra le cose nella loro cruda verità, non cerca la poesia, almeno non come la si intende comunemente, ma focalizza la sua attenzione, e la nostra, su un momento, un aspetto particolare, un dettaglio che rivela la vita che scorre, semplice e muta nelle cose; a volte vibrante e passionale, nelle persone; densa di non detti, di accenni, di richiami a riflettere su punti di vista e oggetti apparentemente banali, un raggio di sole su una facciata, un davanzale di finestra, un interno in penombra, una sedia, ecc. Una vita dura, graffiata, ferita ma non vinta, ancorata al quotidiano su cui riversa tutta la sua forza.



 











La dignità dei piccoli, anonimi oggetti, la storia che intuisci in un cesto vecchio e consunto che sembra dirci come il valore non sta nelle cose ma nell'importanza che assumono per chi le possiede, per il ruolo che rivestono e in quei brandelli di vita vissuta della quale rimangono impregnati e che Safet Zec sa trasmettere così bene. Non a caso rappresenta spesso il suo ambiente di lavoro, il suo tavolino con colori e pennelli, in un dialogo continuo con quei mezzi coi quali, poi, si esprime.
C'è sempre un'atmosfera pacata, un gioco di ombre leggere, o di forti contrasti, una calma che invita l'occhio a soffermarsi sui particolari per scoprire qualcosa al di là del loro semplice aspetto.








 Si parla di realismo magico, espressione abusata; di visione metafisica - e anche questa, ormai logora, si affibbia a tutto. Ma forse è solo la semplicità, sia pure apparente, quella semplicità che solo i grandi sanno esprimere, come lui, che racconta l'essenza, l'interiorità dell'uomo attraverso i suoi oggetti d'uso comune, i suoi angoli di vita, i suoi momenti più intensi, la sua quotidianità. Ed è lì che si cela tutta la sua ricchezza umana e culturale e che affiora attraverso i dettagli, il colore a volte crudo, sovrapposto, aspro, sferzato da segni netti, scuri o chiari, indelebili come cicatrici, perentori nella loro corsa sulla superficie, a tentare di definire le figure e gli oggetti.














   O come nelle splendide incisioni, di cui è grande maestro, con quei giochi di luci e ombre che rimandano a Rembrandt, con le linee a volte leggere, morbide, altre volte secche, dure, tormentate, a scavare nel tempo o nel senso delle cose e ancor più degli uomini.







  Quel senso che, per un momento, deve essergli sembrato perduto per sempre, calpestato dalla disumana follia collettiva della guerra da cui fu costretto a fuggire, segnandolo per sempre. Da allora il dolore è stato uno dei temi fondamentali della sua arte. Si manifesta nelle mani, ripetute in maniera ossessiva, mani dalle dita nodose, sfruttate dal lavoro, a volte intrecciate in una tensione disperata, l'immancabile fede al dito, testimonianza di un incrollabile legame affettivo. Oppure a coprire il volto, accentuando e amplificando un'indicibile, profonda sofferenza che per pudore vorrebbero, invece, nascondere...








 Safet Zec mette in scena il dolore delle sue figure in maniera reale, diretta, senza enfasi ma quasi ostentato, sembrerebbe imposto alla nostra attenzione e partecipazione. Senza artifici e senza intermediazioni si offre in tutta la sua forza dirompente di un momento fissato nel suo divenire, altre volte è un silenzio immobile che vibra ancora di un dramma infinito che viene da lontano e che intride anche gli oggetti più umili e semplici.
Ed è sempre grazie a questa sua maestria, dovuta a una lunga e tenace pratica artigianale, che Zec sa tirare fuori forti emozioni da uno sguardo perso in chissà quali pensieri, da un volto oppresso da uno straziante dolore, attimi di un'intensità emotiva impressionante, coinvolgente.

sabato 5 novembre 2016

Frammento


"Un'opera d'arte è soprattutto un'avventura della mente."
E. Ionesco
   
   Tardo pomeriggio di un caldo giorno estivo, un brandello di sole si aggrappa tenacemente all'ultimo tratto di muro disponibile, portando con sé l'elegante silhouette dell'ombra di un grande fiore giallo e rosso di ibisco che sta lì davanti. Pochi istanti ancora, il cammino sta per finire, il tempo vola, il sole deve andare e così l'ombra si dissolve lentamente perdendosi nella luce grigia del crepuscolo, mentre il fiore, come se non potesse sopravvivere alla sua ombra, spegne la sua radiosa bellezza chiudendo la sua già brevissima esistenza.
   Illusorio tempismo, fortunate coincidenze, ricercate corrispondenze, immaginazione visionaria. Può darsi, chissà! Comunque la si pensi, abbiamo di fronte, ancora una volta, una piccola scena che trasmette le potenzialità di un frammento di realtà, insolito, fuori del “nostro” vedere quotidiano, al di là di ciò che per noi è abituale in quanto dato per già acquisito.
   Ma la realtà, a volte, ha bisogno di un pretesto per non essere o, meglio, per non apparire banale e quelle “strane occasioni” spesso ne forniscono uno. Un'illusione che si fonde col reale, svelando aspetti dell'essere che generalmente passano inosservati ma che un occhio attento e un'immaginazione aperta possono cogliere facilmente e comunicare. E là dove l'immaginazione dà il meglio di sé è l'arte, ovviamente. Immaginare, cioè pensare per immagini creandone di nuove, un'attitudine sempre meno sfruttata, quasi in via di estinzione, sostituita da immagini preconfezionate fornite in grande quantità dai media. Quasi un paradosso nell'epoca delle immagini.
   Così, attraverso una strana, presunta, apparente relazione e un reale legame si può riscoprire qualche aspetto delle cose, apprezzarne il senso e l'essenza per una possibile verità di quel momento. Questo non vuol dire falsare la realtà (vedi surrealismo e tutti i suoi derivati, anche contemporanei) o interpretarla in maniera più o meno arbitraria (tipo espressionismo in tutte le salse), né tanto meno nasconderla dietro cervellotici concettualismi, spesso tanto pretenziosi quanto ridicoli, ma osservare le cose in maniera più… semplice, elastica e creativa e stabilire con esse un muto dialogo che va oltre la comune “logica delle cose”, come si suol dire quando si vuole indicare una consuetudine, un codice accettato e condiviso dai più. Forse non pensava a qualcosa di molto lontano da questo, Pablo Picasso, quando diceva che “l'arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità”. Certo, le sue ragioni e i suoi obiettivi erano ben diversi…
   Scoprire l'importanza delle cose non per ciò che sono ma per ciò che significano in un particolare contesto o in certe condizioni, è una forma di ricerca di un rapporto da condividere sotto forma di emozione, riflessione, da tradurre in immagine o viceversa. Un significato senza alcun carattere simbolico e relativa raffigurazione. Infatti, al contrario, il simbolo assume su di sé tutti i risvolti della realtà che pretende di rappresentare e restituisce una più generale, ideale "verità" uguale per tutti. Ma anche questa è un'illusione, una bugia che amiamo raccontarci per poter credere a delle categorie di appartenenza, per avere idee superiori che accomunano. Ed essendo un'illusione può contribuire, anch'essa, in piccola misura, ad arricchire l'immaginazione.
   Dunque un'immagine può avere differenti significati, in diverse ottiche, ambiguità, senza per questo cadere in contraddizioni o incoerenze. Perché così è la realtà, in positivo o in negativo, a seconda dei punti di vista. È viva e varia, tutta da esplorare, e lo sarà finché il nascere o l'appassire di un fiore non sarà mai considerato un fatto comune, banale ma un piccolo evento capace di suscitare ancora un'emozione.

“...se vi preme capire com’è davvero il mondo, dovete interessarvi ai diversi modi in cui vengono create le immagini.”
David Hockney

La donna riflessa nello specchio e quella che lo pulisce dovrebbero essere la stessa persona e forse lo sono ma non nella comune “logica delle cose”...

Lo specchio



Un'attesa



Gioco di bimba


lunedì 23 maggio 2016

Realtà e rappresentazione


  Le immagini, grazie alla tecnologia, ormai hanno invaso e condizionato la nostra vita a tutti i livelli. La riproducibilità a buon mercato e la conseguente diffusione di massa (temi tanto cari ai cultori della cosiddetta arte pop) ha, sì, reso accessibili e manipolabili le immagini a tutti e questo è bene ma, estremizzando, in molti casi, ne ha anche banalizzato il contenuto non elevandolo a icona di consumo, come si dice sempre, ma svilendone il significato e il valore, ovviamente a seconda dell'uso che se ne fa. Così finiamo per concedere loro occhiate rapide e distratte come se fossero scontate o superflue, non degne di un interesse che non sia breve e superficiale. Un esempio potrebbe essere l'immagine pubblicitaria ripetuta ossessivamente e incessantemente a dosi sempre maggiori per ottenere un briciolo d'attenzione. Ma è curioso anche il fenomeno della street art (detta così fa tanto fine...) in cui un'immagine su un muro, che si guarda appena passando, acquista valore e dignità quando viene ripresa e diffusa da altri media, insomma l'immagine dell'immagine, citazioni comprese. E dire che anche qui ci sono dei veri e propri talenti (pochi, per la verità) che non hanno altro modo di far conoscere la loro arte, per necessità o per scelta. E questo potrebbe spiegare, forse, l'ansia di voler connotare fortemente queste immagini attraverso forzature grafiche o tormentoni musicali, nel caso della pubblicità, o altre stravaganze varie, sperando di fare breccia non per persuasione ma per sfinimento, clamore o provocazione. Di fronte a tanta dozzinalità e conseguente caduta di gusto si spalancano le porte del qualunquismo estetico, quindi artistico, è superfluo anche dirlo, basta guardarsi intorno. L'originale si perde nel bizzarro, il bello nel grottesco, il valore nella superficialità.
  Ma la ricerca dei possibili modi di percepire o intendere la realtà implica esplorare, cioè andare oltre la superficie, penetrare in quello stato di apparente 'anonima esistenza' del reale per giungere alla 'viva presenza' . Ridare un significato alle cose, anche alle più umili e banali, scoprirne o riscoprirne le relazioni nei diversi contesti, perché è solo nel rapporto con "l'altro" che si ha la misura delle cose e degli uomini. Il "bello" non è una qualità ma un atteggiamento mentale, una forma di appagamento, un'emozione definita dal rapporto con ciò che ci circonda. 

Forse sono idee inattuali...o forse no.



L'arte che cita l'arte che a sua volta cita...l'arte, in un gioco di rimandi da un piano materiale (le case), a uno estetico-intellettuale (graffito-Botticelli), ad uno spirituale (il tempio), il più lontano. Ma forse è solo un paesaggio urbano.

Urban landscape - Paesaggio urbano







L'ottusa quiete delle rocce viene interrotta dall'inaspettata presenza delle scarpe femminili ma queste, soprattutto, evocano una più enigmatica presenza-assenza.

The shoes - Le scarpe